Viaggio a Oblivia by Alex Bellini

Viaggio a Oblivia by Alex Bellini

autore:Alex Bellini [Bellini, Alex]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2022-11-05T23:00:00+00:00


8

Fiduciosi è bene, realisti è meglio

“Mangiare semi a volte è un segno di miopia o impazienza.”

Mokokoma Mokhonoana

Dallo scoglio di Quarto (Genova) partii il 18 settembre del 2005. Quel giorno c’erano tanti amici e conoscenti venuti a salutarmi da diverse parti d’Italia, e sono pronto a scommettere che tutti avevano ancora impresse nei loro ricordi le immagini della prima partenza, che ero stato costretto a interrompere a causa del vento e del mare indiavolato, dopo sole sei ore dal via. E chi non aveva assistito al mio primo tentativo di lasciare gli ormeggi dalla costa italiana per la mia traversata dell’Oceano Atlantico, ne aveva certamente sentito parlare perché quel giorno, il 10 ottobre 2004, due cose eccezionali erano avvenute simultaneamente: la più forte buriana che i genovesi ricordino e le prime di cinque milioni di remate di un montanaro che dalla Valtellina sognava di raggiungere il Brasile a remi. Era passato solo un anno, ma tante cose erano cambiate: avevo una barca nuova, in vetroresina, più leggera e più promettente di quella vecchia in legno, ero equipaggiato con una tecnologia migliore e, forse la cosa più importante tra tutte, io e il mio team sapevamo che un piccolo errore o imprevisto poteva costarmi la vita. Questo dettaglio faceva sì che i sorrisi e gli abbracci che ci scambiammo nei minuti finali, prima di salpare l’àncora e immergermi nel silenzio del mare, risultassero un po’ nervosi e tirati. Una cosa, però, nell’ultimo anno non era cambiata affatto, anzi se possibile era addirittura cresciuta: la certezza che in un modo o nell’altro in Brasile ci sarei arrivato. Ogni tanto pensavo di aver alzato l’asticella a un livello irraggiungibile, ma molto più spesso avevo la sensazione che con tanto impegno e pazienza quel livello potevo raggiungerlo e superarlo. Lo volevo con ogni fibra del mio corpo.

Quel giorno a Quarto era una giornata nuvolosa, con una leggera brezza da nord che mi aiutò a prendere facilmente il largo. A sera, quando tirai i remi in barca per rannicchiarmi in cabina e consumare il primo pasto, della costa ligure non era rimasto altro che una sottile linea nera all’orizzonte. Qualcuno, al posto mio, avrebbe vissuto con angoscia quel momento, io invece ero estremamente sollevato, perché se c’era una cosa di cui avevo paura era la terraferma. A bordo, per quel terzo tentativo di traversata dell’Oceano Atlantico, avevo stoccato duecentodieci giorni di scorte di cibo e centoventi litri di acqua in fustini di plastica, per un totale di oltre quattrocento chilogrammi di peso. I fustini di acqua rappresentavano un’importante zavorra che dava stabilità alla barca e li avrei aperti solo in caso di malfunzionamento del dissalatore manuale. Anche per tutto quel gran peso che mi portavo appresso, tra cibo e zavorra, i primi mesi furono molto impegnativi e solo raramente riuscii a percorrere i trenta chilometri giornalieri, la distanza media che mi ero prefissato di coprire. Che remassi dieci chilometri, o che ne remassi trenta, consumavo comunque la stessa quantità di cibo. Anzi, per quanto assurdo possa essere, nelle giornate peggiori e più frustranti, mangiavo più del solito.



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